Flash di vita

Così ho riscoperto
il cristianesimo

L’Induismo conta 30 milioni di aderenti in Occidente. Quali valori li hanno attratti? Riportiamo l’esperienza di un giovane, che può aiutarci a capirlo.

Da adolescente avevo ricevuto una formazione cristiana povera, nozionistica, e crescendo notavo nelle persone che conoscevo una separazione abissale tra la fede  professata e la vita quotidiana. Essi non erano molto diversi da chi non credeva.

Quando lasciai la mia città di provincia e venni nella capitale per gli studi universitari, anche le poche convinzioni religiose dell’infanzia naufragarono.

Studiando ingegneria elettronica ed entrando nella conoscenza della fisica, la matematica, la chimica, mi rendevo conto che ero soltanto un punto nel meraviglioso spettacolo della Creazione, e questo faceva crescere in me un forte desiderio di conoscere i misteri dell’universo.

La scienza però non rispondeva fino in fondo a questa mia esigenza di verità, che notavo anche nei miei colleghi, che spesso la mascheravano con la ricerca del piacere, dell’avere, del potere, ma erano insoddisfatti.

Fu a questo punto che incontrai l’Induismo. La mia prima impressione fu d’ammirazione perché mi poneva davanti a un mistero che supera le nostre capacità e ci avvolge. Trovavo in esso tanti aspetti positivi.

Dietro il cosiddetto “panteismo” indù mi si svelava l’esigenza umana, che era anche mia, di essere immersi in Dio in tutti gli aspetti della vita (società, economia, cultura, ecc.), essendo avvolti internamente ed esternamente dalla presenza della divinità. Questo mi ha fatto rivalutare la natura, il mio rapporto con l’universo, e mi ha fatto allargare il concetto di salvezza universale: dagli esseri umani a tutto il creato. Inoltre, mi attirava il fatto di poter accedere alla conoscenza del divino attraverso vari generi letterari, come favole, poemi, storie, preghiere, di cui l’Induismo è così ricco.

Dietro le innumerevoli statue trovavo lo sforzo di rispondere al bisogno umano di sentire vicina la divinità, di convivere con lei. Il fatto stesso di rappresentare la divinità in diverse forme: umane (maschili e femminili), animali, vegetali ecc., mi faceva capire l’illimitata ed infinita realtà della divinità, che non può mai essere racchiusa in modo esauriente nelle nostre categorie umane.

Dietro la reincarnazione, un’altra realtà centrale dell’Induismo, ho intravisto l’infinita misericordia di Dio, che offre un’opportunità per ricominciare una nuova vita, superando gli errori della vita anteriore.

Nella plurimillenaria saggezza indù, ho trovato altri lodevoli tentativi di risposte a tanti interrogativi, come l’ordine universale, il principio di causalità, la morte, il dolore, le differenze sociali, ecc.

Cercando di penetrare l’Induismo, mi sono imbattuto in due personaggi particolarmente importanti. Tagore, che per la bellezza, profondità e sapienza della sua opera letteraria mi piace accostare a san Giovanni della Croce, e Gandhi, che attraverso i suoi scritti mi ha fatto riscoprire la grandezza del cristianesimo, soprattutto leggendo quanto egli dice sulle beatitudini evangeliche. Mi ha fatto addirittura rivedere la mia posizione carica di pregiudizi verso il cristianesimo. Egli scrive: «Come posso abbracciare un’altra religione, senza avere prima approfondito la mia?». Mi ha colpito soprattutto la coerenza della sua vita ed il richiamo che fa ai cristiani paragonandoli alle pietre del fiume, immerse nell’acqua ma secche all’interno. Gandhi ha contribuito a riaccendere in me l’interesse per il cristianesimo e a riconoscere che la precedente esperienza negativa che avevo avuto si doveva ad una conoscenza deformata o insufficiente.

A questo punto mi sono impegnato a riscoprirlo, col desiderio di viverlo concretamente. Ho iniziato questo nuovo cammino e ho sentito in maniera fortissima – potrebbe sembrare inspiegabile – il desiderio di donare la mia vita a Dio nel sacerdozio.

Sono entrato in un seminario impostato sulla spiritualità dell’unità da un sacerdote, che ce la trasmetteva soprattutto con un ascolto paziente e con la sua vita.

Attualmente mi trovo, con altri seminaristi e sacerdoti di tante parti del mondo, in una Scuola di vita del Movimento dei focolari a Loppiano, nei pressi di Firenze. Qui, dove il Vangelo costituisce il cuore e la legge dei suoi abitanti, si può vedere, come in un laboratorio, come sarebbe la società se fosse imbevuta degli insegnamenti evangelici.

Sto facendo varie scoperte. La prima – che ha saziato pienamente la mia sete spirituale – è Dio Amore, il quale, proprio per questo, è Uno e allo stesso tempo Trinità, comunione. Ciò mi porta ad avere una visione antropologica nuova, scoprendo la mia vera essenza nell’essere in relazione di amore con tutti.

Nell’Induismo mi sentivo immerso nella divinità, ma questa rimaneva per me impersonale e lontana, e non mi portava ad avere una relazione nuova con gli altri. Ero esortato chiaramente a vivere l’amore verso il prossimo, ma rimaneva per me come un’esigenza esterna, un mezzo per la liberazione dalla ruota delle reincarnazioni.

Inoltre devo dire che, tra le varie presenze di Dio nell’universo e nell’umanità, l’esperienza della presenza di Gesù in mezzo ad una comunità dove si vive secondo il suo amore, ha appagato ancora di più la mia esigenza di essere immerso in Dio, di avvertirne la “vicinanza”.

Un’altra scoperta che sto realizzando in modo esistenziale, sempre a livello antropologico, è che la mia persona intera è valorizzata perché immagine di Dio. Quindi un giusto apprezzamento del corpo umano creato ed amato da Dio. Nell’Induismo sentivo il corpo fisico come un mezzo per la reincarnazione, non una parte costitutiva, essenziale della persona.

Mi affascina ad esempio l’aver scoperto che coloro che si cibano di Gesù Eucaristia, dopo la loro morte diventino “Eucaristia della terra” e contribuiscano così al piano di salvezza universale di tutta la Creazione.

Ho trovato anche il superamento di una visione dell’esistenza umana chiusa in caste, un sistema sociale che contraddice la libertà e l’uguaglianza tra gli esseri umani, contro il quale Gandhi ha lottato con tutte le sue forze.

Nel leggere e meditare alcuni testi sacri dell’Induismo, pur con la profondità e bellezza che trovavo in essi, tante volte ho avuto la sensazione di vivere fuori della realtà che avevo attorno. Nell’incontro col Vangelo sperimento che tutto ha un sapore oggettivo di verità, perché tutto è applicabile alla vita. Ogni volta che lo metto in pratica mi sento più inserito nella realtà e più pieno di umanità.

Persino il dolore, l’errore, la morte e tante altre esperienze negative – che prima trovavano una spiegazione  nella reincarnazione – ora acquistano una pienezza di luce nell’abbandono di Cristo sulla croce, misura divina dell’amore che dà senso ad ogni perché.

Potrei raccontare tante altre scoperte. In sintesi direi che l’Induismo è stata una tappa importante della mia vita, che ha costituito una preparazione per accogliere con maggiore coscienza e pienezza la ricchezza del cristianesimo.

 

Alejandro Rebón