L’autore è un indiano che, dopo una carriera ben affermata nel campo professionale, ha sentito la vocazione al sacerdozio e si è donato a Dio con lo slancio dei neofiti. Ma dopo aver iniziato con entusiasmo l’esercizio del suo ministero, per false denunce è costretto a fare il custode di una fattoria. E qui ha inizio la sua avventura.

Sono nato e cresciuto accanto ad un tempio indù e per me vivere immerso in una realtà multireligiosa è stata da sempre una cosa normale e, forse anche per questo, il mio rapporto con gli indù è spontaneo. Ovviamente la molteplicità delle varie credenze suscitava in me degli interrogativi, sviluppando un profondo desiderio d’unità. Così, quando ho incontrato la spiritualità del Movimento dei focolari, ne sono stato subito attratto.

Dopo la mia ordinazione il vescovo mi ha inviato in un villaggio molto umile, formato da persone appartenenti ad una tribù. Ero animatore di un gruppo composto da suore, sacerdoti e un laico consacrato. La comunità cristiana era molto piccola e noi lavoravamo soprattutto nel campo dello sviluppo sociale di tutti gli abitanti del villaggio, indipendentemente dalla religione di appartenenza.

Tutti possiamo sbagliare

Un giorno, nel 1989, sono stato convocato dal vescovo. Dopo un lungo viaggio sono arrivato da lui e, con mia grande sorpresa, mi sono sentito dire che gli era stato riferito per iscritto da persone fidate che io ero un uomo miscredente, soprattutto riguardo all’Eucaristia. Una copia di quest’accusa era stata inviata agli altri sacerdoti della curia.

Senza tener conto delle mie osservazioni sull’infondatezza di simili accuse, il vescovo ha creduto bene di mandarmi in un’altra località. Quando ho ricevuto la lettera di trasferimento sono rimasto sconvolto, perché l’ordine impartito era un vero castigo. Mi chiedeva, infatti, di prendermi cura, non dei cristiani che in quel luogo si pensava non vi fossero, ma di una fattoria della diocesi, che era stata requisita dal governo e su cui pendeva da anni un’azione giudiziaria.

Stando alle norme canoniche avrei potuto rifiutarmi di obbedire, appellandomi ad istanze superiori, come tanti mi consigliavano. Dentro di me sentivo il peso di un dilemma: il consiglio che mi davano era giusto, ma potevo mettermi contro il vescovo, causando uno scandalo in diocesi? D’altra parte perché subire supinamente un castigo immeritato? Capivo che il Vangelo è più esigente del Diritto Canonico e sentivo il bisogno di un supplemento di sapienza. Ho esposto il mio caso ai miei amici del Movimento dei focolari e questi, pur prendendo parte al mio dolore, mi hanno ricordato una frase di Chiara Lubich: «È meglio il meno perfetto in unità che il più perfetto fuori dell’unità».

Questa visione evangelica dei rapporti nella Chiesa mi ha dato tanta pace ed anche la forza di accettare serenamente il trasferimento.

Ho iniziato con impegno il nuovo lavoro. Più tardi, volendo fare le cose in unità col mio vescovo, sono tornato da lui per aggiornarlo su come mi stavo organizzando nella fattoria. Egli forse si stava rendendo conto di aver preso un abbaglio, perché ad un certo momento della nostra conversazione ha detto, come per inciso, che anche i vescovi possono sbagliare. Non ha saputo, però, rimediare alla diffamazione che avevo subito, né mi sembrava evangelico avanzare pretese.

Con i serpenti in casa

La mia nuova abitazione era una vecchia casa colonica molto malandata. Nelle fessure delle sue mura abitavano indisturbati i serpenti cobra. Un giorno ne ho trovato uno arrotolato dentro un armadio dalla porta sgangherata. Per giungere alla fattoria la strada era pessima; l’erogazione della corrente elettrica s’interrompeva frequentemente.

La situazione, già triste per se stessa, peggiorava perché non mi era stato affidato nessun lavoro pastorale. Dovevo semplicemente far da guardiano ad una fattoria che aveva già vissuto giorni migliori, per impedire al governo di appropriarsene definitivamente.

Parte di questa proprietà terriera era diventata un rifugio per i più poveri e per questo motivo vi erano sorti tanti slum di gente della casta bassa. Il tasso di disoccupazione era molto alto e la povertà acuta. Il risultato era un aumento continuo di criminalità. C’erano con me due laici consacrati che si prendevano cura del posto, mentre io cominciavo a visitare ogni giorno gli slum. Ho scoperto delle famiglie cattoliche che frequentavano la Chiesa soltanto a Natale e a Pasqua, perché abitavano molto lontano. I loro figli non frequentavano le scuole cristiane, ma quelle della bassa casta. Non sapevano cosa fosse la vita di una comunità cattolica. Naturalmente i giovani si univano tranquillamente con i non cristiani, perdendo lentamente ogni traccia di cristianesimo. I figli nati da queste unioni normalmente non venivano battezzati. Mi sono accorto che in una tale situazione di estrema povertà e di mancanza di fede, l’unica cosa che potevo fare era amare queste persone. Ho iniziato a visitarle regolarmente per stare semplicemente con loro, accettandole così com’erano.

Dal pollaio nasce una Chiesa viva

Nel frattempo, il vescovo aveva sentito parlare del buon lavoro che si stava compiendo e, anche se la nostra non era una parrocchia, mi ha chiesto di organizzare il sacramento della cresima in un luogo della fattoria dove la gente potesse convenire. Nel giorno stabilito è arrivato per la celebrazione ed è rimasto molto sorpreso nel vedere un gruppo così numeroso e mi ha chiesto da dove fosse venuto. Ho risposto che erano abitanti dei vari slum della zona. Senza pensarci due volte mi ha annunciato che bisognava erigere lì una parrocchia. Gli ho risposto che non avevamo una chiesa e che la liturgia domenicale veniva fatta in un capannone già adibito ad allevamento di polli, ma in uno stato di totale abbandono. Ha suggerito allora di rimetterlo in ordine, adattandolo a chiesa nel migliore dei modi. Nel giro di tre mesi il lavoro è stato compiuto, l’edificio è stato benedetto e la parrocchia inaugurata ufficialmente. Era il 1981.

Ma come far sperimentare la comunità a cristiani così dispersi e così lontani gli uni dagli altri? Dovevo trovare un modo per avvicinarli anche fisicamente alla Chiesa. Mi è sembrato di capire cosa potevo fare: forse è stata un’ispirazione. Il terreno della fattoria si estendeva per 14 ettari e la sua proprietà era contestata da più di 25 anni. Se la nostra gente così povera fosse accolta in questo terreno, certamente sarebbe meglio assistita e, conseguentemente, anche il nostro dissidio con lo Stato si sarebbe risolto più facilmente a nostro favore. Ho lanciato l’idea e nel 1992 il primo gruppo di cristiani è arrivato ed ha preso stabile dimora nel terreno della fattoria.

Tra loro c’erano anche persone con un passato poco pulito: dovevamo riabilitarle e tenerle lontane dalle vecchie abitudini che a volte avevano rasentato la pratica del crimine. Abbiamo dovuto usare anche maniere forti, avendo però sempre nel cuore l’amore per loro e per le loro famiglie. È stato un lavoro lungo, ma fruttuoso, perché anche i criminali sono sensibili all’amore e alla gioia della redenzione.

Pian piano il numero di persone che frequentavano la chiesa è aumentato. Tramite un processo di catechesi i non praticanti si sono avvicinati ed hanno sperimentato la Chiesa come madre. Di conseguenza, adulti battezzati hanno voluto regolarizzare i loro matrimoni; tanti figli di cristiani hanno chiesto il battesimo per sé e per i loro bambini e quindi anche il matrimonio religioso. Abbiamo potuto rievangelizzare circa 1000 cristiani che si erano allontanati dalla pratica religiosa. Oggi i frutti sono abbondanti. Abbiamo sette gruppi che lavorano in parrocchia. Quando sono arrivato non ce n’era neanche uno. Attualmente i parrocchiani praticanti sono più di 5000. La nostra diocesi conta circa 20.000 cattolici e noi siamo la seconda parrocchia più grande. Abbiamo anche una scuola e nell’insegnamento usiamo la lingua locale.

Sono sorte poi tante iniziative per riabilitare gli ex-carcerati e per cercare lavoro per i disoccupati. Facciamo del nostro meglio per aiutare nel campo dell’educazione, della sanità e nel trovare alloggi adatti ai bisogni delle famiglie. Un grande contributo per la formazione dei bambini ci viene dal programma di adozione a distanza di Famiglie Nuove del Movimento dei focolari.

I frutti dell’unità

Un giorno è venuto a trovarci il vescovo ausiliare, che mi ha detto qualcosa di molto bello. Queste le sue parole: «Quando sei stato trasferito qui, naturalmente eri molto turbato. A pensarci bene è stato proprio un vero castigo mandarti in questo luogo. Con tutte le tue qualifiche, esperienze e capacità di organizzazione, potevi ricevere un incarico più nobile. Ora però si vede chiaro che Dio ti voleva proprio qui per costruire questa comunità. Senza quell’azione disciplinare, tutto questo non sarebbe accaduto. Riconosciamo i piani di Dio e ammiriamo i frutti della tua obbedienza e del tuo faticoso lavoro».

Per me era una riprova che, vivendo la vita nell’unità col vescovo e con i fratelli, niente è impossibile a Dio. In tutti questi anni di lotta è stata, infatti, la vita d’unità che mi ha sostenuto e portato avanti. Oggi posso affermare chiaramente che quando si riconosce nel dolore Gesù abbandonato, i frutti sono sempre abbondanti. A volte si presentano situazioni assurde, ma se le vivi con spirito di fede, presto o tardi scopri il filo d’oro che lega la storia tua e degli altri.

Le avventure, però, non finiscono mai. Avevamo formato un comitato per coordinare i nostri sforzi e ottenere il diritto di residenza per la gente che aveva occupato il terreno della fattoria requisita dal governo. Un sabato sera il presidente e il segretario del comitato sono venuti a dirmi che l’avvocato aveva comunicato che dovevamo pagare una tassa di 1500 dollari agli ufficiali giudiziari e governativi per salvaguardare le case costruite sul nostro terreno conteso; diversamente, tutte le case sarebbero state demolite dai buldozer.

Avevo con me meno di 100 dollari. Sono andato ai piedi della statua della Madonna e ho chiesto aiuto. Poi sono andato a trovare l’avvocato. Mi ha detto chiaramente che non c’era via di scampo: bisognava pagare. Il giorno seguente era domenica ed ho celebrato come di solito le tre messe ed ho fatto anche alcuni battesimi. Concluso il lavoro sono tornato ai piedi della Madonna per chiederle un miracolo. Sono andato di nuovo dall’avvocato, sperando che avesse trovato una soluzione, ma ha ribadito quanto aveva detto il giorno prima. Il tempo stringeva, ma dove prelevare i soldi prima di sera? E qui il miracolo è avvenuto. Ho parlato con alcune persone, chiedendo un prestito e queste si sono date da fare anche presso i loro amici, riuscendo a racimolare i soldi necessari. Eravamo salvi.

Pensavo che la questione fosse stata risolta definitivamente, ma un bel giorno vedo arrivare i bulldozer inviati dalle autorità per iniziare la demolizione delle case. Per fortuna la sera precedente avevo ricevuto un ordine del giudice che lo proibiva. Di fronte a questo documento i bulldozer hanno dovuto fare marcia indietro.

Recentemente abbiamo scoperto che un uomo della comunità era malato di AIDS. Abbiamo fatto il possibile per trovargli un ospedale, ma tutte le porte si sono chiuse ed alla fine egli è morto nella sua piccola capanna, straziato dal dolore davanti alla giovane moglie e ai tre figli con meno di cinque anni. Tutta la comunità si è impegnata a raccogliere il denaro necessario per le spese della sepoltura e tanti hanno partecipato al funerale, esprimendo così la loro unità con la famiglia in lutto. Poi abbiamo eseguito un controllo medico sulla vedova, scoprendo che anche lei aveva contratto la stessa malattia. Una famiglia le ha offerto casa e cibo e, data la paura per questo morbo, tale gesto è stato una vera testimonianza d’amore.

Ora la comunità fa a turni e gratuitamente la pulizia della chiesa, mentre normalmente nelle altre parrocchie questo lavoro è fatto a pagamento.

Nel periodo natalizio i giovani vanno di casa in casa, offrono i canti di Natale e raccolgono soldi. Le offerte servono per abbellire le celebrazioni liturgiche, per promuovere eventi sportivi, culturali e varie gare di pittura, scrittura, ecc.

Conoscendo la cultura del posto, non ho potuto mettere un orario per ricevere le persone in casa. Tutti sono benvenuti a qualsiasi ora. Se sto facendo colazione, condivido con loro la tazza di thè o di caffè. Con questi piccoli gesti tante barriere sono cadute. Naturalmente essi stessi capiscono come comportarsi per lasciarmi il tempo di riposare.

Piccoli fioretti

Una parrocchiana aveva una relazione extra matrimoniale con un signore e questa situazione stava portando alla frantumazione della sua famiglia. Con delicatezza rispettosa mi sono fatto amico di ambedue i coniugi, ascoltandoli pazientemente. Allo stesso tempo sono stato molto deciso nel dire a lei che doveva interrompere questo rapporto. Ho dovuto passare delle ore con ciascuno di loro. Una notte mi trovavo immobilizzato a letto da un fortissimo dolore di schiena. Era appena trascorsa la mezzanotte ed ho sentito qualcuno che mi chiamava. I due erano venuti fino alla mia casa litigando. Era difficile muovermi, ma li ho accolti e mi sono seduto con loro per più di un’ora. Non era semplice ricomporre l’unità, ma Gesù sulla croce aveva pagato anche per questa tragedia famigliare. Oggi posso dire con gioia che i due sposi vivono bene. Forse anch’io quella notte sono stato chiamato a dare un piccolo contributo alla loro felicità.

Un’atra volta è stata una ragazza a svegliarmi sempre verso la mezzanotte. Era sconvolta ed aveva camminato per sei chilometri in piena notte per raggiungere la chiesa. Un orfano che abitava con me ha cercato di convincerla a tornarsene a casa, perché non voleva disturbarmi. Ero appena andato a letto dopo una giornata abbastanza pesante. Il rumore che facevano mi ha svegliato. Mi sono alzato e sono andato ad accogliere questa ragazza sola e triste. Ho pensato a Gesù sulla croce e mi son detto: devo essere per lei un’espressione di quell’amore. Mi ha raccontato la sua storia d’innamoramento con un ragazzo che poi l’aveva abbandonata. La sua stessa famiglia l’aveva rigettata, perché lei stava passando per un esaurimento nervoso e gli altri non la capivano. L’ho ascoltata con pazienza, le ho fatto una tazza di thè caldo e dopo circa un’ora l’ho accompagnata a casa. Qui ho parlato con i suoi genitori e fratelli, aiutandoli a comprendere la situazione della ragazza e, soltanto quando tra loro è tornata la pace, ho ripreso il cammino verso casa. Erano ormai le ore piccole del mattino.

Rapporti con gl’induisti

C’è un tempio indù abbastanza vicino alla nostra chiesa e attorno vi abitano tanti indù. Abbiamo ottimi rapporti con loro. Ci sono voluti tanti anni per costruire quest’amicizia. Ho seguito la tattica dell’amore che Chiara spesso ci ricorda: amare tutti e amare per primi. Ogni volta che li incontro, li saluto, converso con loro e accetto l’invito a prendere un tè. Quando celebrano le loro feste religiose vi assistiamo per quanto ci è possibile. Spesso gli indù, quando si trovano in difficoltà, si rivolgono a me. Per esempio li aiuto quando non hanno i soldi a sufficienza per pagare le rate scolastiche o quando non hanno da mangiare. Attualmente due gruppi di indù di caste differenti sono in lite tra loro a causa di un pezzo di terreno necessario per la costruzione di un tempio. Per la fiducia che hanno in me i rappresentanti dei due gruppi mi hanno chiesto di aiutarli a trovare una soluzione amichevole.

Alcuni leaders locali del partito nazionalista indù vengono puntualmente a portarmi gli auguri di Natale. Quando ho delle difficoltà con l’amministrazione locale o con la polizia, proprio loro – normalmente accusati di essere contrari ai cristiani – sono i primi ad aiutarmi. Nei loro incontri, dove possono prendere parte solo persone scelte, vogliono che io sia presente. Ogni anno il governo dello Stato organizza incontri di massa a favore della pace e svolge programmi interreligiosi nel compleanno del Mahatma Gandhi. E ogni volta, m’invitano come rappresentante della comunità cristiana della città. Per la preghiera scelgo quei brani del vangelo che parlano d’amore e d’unità ed offro un breve commento incoraggiando tutti i presenti ad amarsi reciprocamente andando al di là di tutte le differenze religiose.

Promuovere la pace fra tutti

L’area abitativa è suddivisa in varie zone e ognuna è occupata da persone che seguono la stessa religione, per cui è stato facile designarle col nome della religione dei suoi abitanti. Ogni contrasto che sorge tra la zona cristiana e quella indù sembra abbia una connotazione di origine religiosa, mentre spesso è di tutt’altro genere. Ho cercato di far capire che siamo tutti fratelli e sorelle, perché figli dell’unico Dio, invitandoli a non usare il nome della religione per identificare la propria zona, ma piuttosto i nomi che le località già hanno da sempre. Pian piano mi hanno ascoltato.

Una volta mancava l’acqua nella zona accanto a noi e i suoi abitanti venivano ad attingerla nei pozzi dei cristiani. Questi non volevano e gli indù sono venuti da me a lamentarsi. Ho fatto in modo che la situazione si risolvesse. Ora ricevono tutta l’acqua di cui hanno bisogno. La nostra zona è fornita di elettricità, mentre la zona accanto non ne ha. Sto lavorando per fornire anche la corrente elettrica utilizzando le nostre strutture.

Abbiamo formato un comitato misto di membri delle due zone per rafforzare i nostri legami. Così quando sorgono dei problemi, li affrontiamo e risolviamo insieme.

Oggi non sono più considerato soltanto il sacerdote della comunità cattolica, ma l’uomo di Dio a servizio di tutti. A questo punto il governo statale è intenzionato a nominarmi “magistrato esecutivo speciale” per questa zona. Dovrò autentificare i documenti, avviare a soluzione i problemi sociali e civici ed anche dirimere, come giudice di pace, le difficoltà che possono sorgere tra gli abitanti della circoscrizione.

Anche qui, come ovunque, l’annuncio del Vangelo diventa credibile solo se passa attraverso l’amore concreto.

George Mendes