Coniugare la via dell’amore con la verità di Cristo: un contributo al dialogo con l’Induismo, offerto da Chiara Lubich

 

Tappe di un viaggio in India

a cura della redazione

 

Diamo questo breve resoconto del viaggio di Chiara Lubich in India per situarci nell’ambiente non solo geografico, ma anche religioso per quanto è possibile in queste poche righe. La Chiesa cattolica in India, pur minoritaria come persone, vanta una tradizione che risale ai primi tempi del cristianesimo ed è presente con i suoi vari riti in tutto il Paese. È ben nota poi l’opera evangelizzatrice di san Francesco Saverio. Oggi molti cristiani – pastori, teologi e Ordini contemplativi – stanno facendo un grande sforzo per dialogare con il mondo indù. Il Movimento dei focolari offre il suo contributo, apprezzato dai vescovi cattolici del posto per il suo approccio “inedito ed efficace”.

Il Movimento dei focolari è presente in India dal 1980, quando, su richiesta di un vescovo, fu aperto il primo centro a Bombay. Nel 1999 si è resa necessaria l’apertura di un altro centro a Bangalore per attendere alle numerose richieste del sud dell’India.

La spiritualità dell’unità in un primo tempo si è diffusa negli ambienti cattolici: parrocchie, seminari, comunità religiose, con il pieno appoggio di vescovi; poi c’è stato uno sviluppo ecumenico inatteso soprattutto nella Chiesa siro-ortodossa del Kerala, che ha voluto donare la spiritualità dell’unità a tutti i suoi membri più ragguardevoli durante le loro assemblee annuali; infine, per i contatti del Movimento con la W.C.R.P. (Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace), uno dei presidenti di questa organizzazione, il dr. Aram, – di religione indù e senatore a vita per essere riuscito a mantenere unite all’India le province del Nordest –  anni fa ha rivolto un pressante invito a Chiara. Egli desiderava che lei visitasse la cittadella da lui fondata a Coimbatore, nello Stato del Tamil Nadu, e presentasse la sua esperienza religiosa ad indù ed anche a membri di altre religioni presenti in India.

Il volto misterioso dell’India

L’invito, subito accolto, solo quest’anno è stato possibile attuarlo e negli ultimi giorni del dicembre scorso Chiara poneva piede per la prima volta in terra indiana. Con quali sentimenti? Ce lo dice lei stessa.

«Più entriamo in contatto con l’India, più essa ci si rivela come un mondo grande, intenso, con un suo volto, per noi occidentali non facilmente decifrabile, unitario nella sua ricchissima diversità. Si sente che siamo di fronte ad uno scrigno di tesori spirituali, di tensione mistica di tutta la natura umana, tensione alla quale non è certamente estranea l’opera della Grazia. E questo scrigno si apre solo a chi gli si accosta con rispetto pieno d’amore e, soprattutto, con la convinzione che Dio ha tanto da dirci attraverso questa cultura millenaria.

Essa, nel difficile e tormentato mondo contemporaneo ha, infatti, una sua parola, essenziale e vitale per tutti: una parola che mette in forte evidenza il primato della vita interiore.

Mi chiedo: che cosa potrà scaturire dall’incontro dell’India col Gesù offerto dal carisma dell’unità? Portando a piena maturazione i semi del Verbo presenti in essa – lavoro immenso, ciclopico, che richiederà anni ed anni, forse secoli – potrebbe far scaturire Gesù dal cuore stesso della realtà indiana. Ma in che modo? Essendo, da parte nostra, quella presenza di Maria, che è l’unica capace di offrire, di donare Gesù nella sua verità più profonda, ma facendolo nascere dal cuore stesso della realtà alla quale lo dona».

A Coimbatore:
insieme per un mondo di pace

Dopo alcuni giorni di ambientazione e soprattutto di ascolto, Chiara si porta a Coimbatore, dove ad accoglierla non c’è più il dr. Aram, ma la sua signora, la vedova Minoti, con tutto lo staff che attualmente dirige l’organizzazione da lui fondata, lo Shanti Ashram, di cui lei è presidente. La loro figlia, la dottoressa Vinu Aram, ha dato il benvenuto, dicendo fra l’altro: «Stiamo unendo le mani per costruire un mondo di pace». Poi nel corso di una cerimonia ufficiale svoltasi il 5 gennaio, davanti a un pubblico qualificato di oltre 500 persone, tra cui alcuni anziani compagni di Gandhi, le viene conferito il premio “Difensore della pace”.

Un premio istituito da due prestigiose istituzioni induiste gandhiane: lo Shanti Ashram, organizzazione di carattere sociale ed educativa a favore dei più bisognosi – con cui da tempo collabora il Movimento Famiglie Nuove, diramazione dei Focolari, con le adozioni a distanza – e il movimento Sarvodaya, che s’ispira ad una delle idee-forza di Gandhi, l’impegno a favore di una vita dignitosa per tutti.

Il riconoscimento, riservato a personalità di elevata statura morale, è stato assegnato finora otto volte, ed ha visto premiati, tra gli altri, il rev. Kajitan, discepolo di Gandhi, Homer Jack, primo segretario della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, e Madre Teresa di Calcutta.

A Chiara Lubich, come si legge nella motivazione del premio, è stato riconosciuto «il suo ruolo instancabile nel gettare semi di pace e d’amore fra tutti gli uomini. Segno che il messaggio di Gesù Cristo è sempre rilevante, fresco e benefico nel risolvere le questioni contemporanee».

Caloroso, e in profonda sintonia spirituale, è stato il discorso pronunciato dal presidente della sede di Coimbatore del Bharatiya Vidya Bhavan, istituto culturale e religioso considerato come uno dei punti di riferimento dell’ortodossia indù. Il suo presidente, Shri Krishnaraj Vanavarayar, ha salutato Chiara come una persona «capace di mostrarci la strada per superare le divisioni e l’odio». «L’India – ha aggiunto – pur avendo una grande eredità culturale e religiosa, pluralista e tollerante, deve affrontare oggi sfide nuove, problemi sociali accompagnati da tensioni e divisioni, e deve misurarsi con uno sviluppo economico e tecnologico segnato spesso da una mentalità materialista e priva di valori morali». «Il problema centrale – ha osservato ancora Vanavarayar – è come vincere l’odio con l’amore, come trasmettere l’amore ad altri. Chiara ha una forza in lei che ha reso possibile questo sogno, perché ha fatto l’esperienza di Dio».

Alla Lubich era stato chiesto di presentare nel suo discorso di accettazione la propria esperienza spirituale. Prima di farlo, ha però voluto sottolineare come il suo desiderio principale, qui in India, fosse quello di ascoltare, di imparare, per aprire un “cordiale dialogo” con persone che vengono da un’antichissima cultura e tradizione religiosa, molto sensibili ai valori spirituali.

Delineando con trasparenza i passaggi fondamentali della propria esperienza di Vangelo vissuto, ha fatto spesso riferimento alla tradizione induista.

Il giorno seguente, Chiara ha voluto consegnare lo stesso messaggio d’amore anche ai bambini seguiti dallo Shanti Ashram nel loro progetto educativo. In un colorito ed affettuoso incontro con alcune centinaia di loro – svoltosi alla periferia di Coimbatore, dove sorge la sede dello Shanti Ashram, – ha chiesto ai piccoli di lasciare spazio «alla fiamma d’amore che essi portano nel cuore», e di essere di esempio anche per i grandi, amando tutti senza distinzioni.

A Bombay:
in dialogo con docenti e studenti

Un altro incontro è stato organizzato all’università di Vidyavihar (Bombay) per desiderio della prof.ssa Kala Acharya, che aveva conosciuto Chiara a Coimbatore ed era entrata in un’immediata sintonia con il suo pensiero. È direttrice di un istituto universitario di cultura e di ricerca nell’Università Somaiya ed ha approfondito il dialogo con l'Induismo; per ben due volte è stata ricevuta in udienza da Giovanni Paolo II.

Dall’incontro personale con Chiara è scaturita in lei la spinta ad aprire un dialogo a tutto campo col Movimento dei Focolari, inserendolo nel quadro di vari incontri interculturali già promossi dal suo istituto.

Il giorno 12 gennaio erano raccolti sotto un tendone del campus universitario circa 600 persone, molte delle quali del corpo accademico.

Cordialissimo il saluto da parte del presidente dell’Università, il dott. Shantilal Somaiya, figlio del fondatore dell’ateneo, e dei presidi delle facoltà che hanno voluto onorarla con doni e ghirlande di fiori.

Dopo la preghiera proposta da fedeli indù, giainisti, buddisti e cristiani, Chiara ha tenuto una conferenza dal titolo: “Una spiritualità per la fratellanza universale”, che ha avuto un’ampia risonanza nel pubblico presente.

La dottoressa Vinu Aram, venuta apposta da Coimbatore, ha testimoniato di persona la calorosa accoglienza riservata a Chiara nella sua città dalle organizzazioni gandhiane e dai rappresentanti qualificati dell’Induismo Tamil.

Un avvocato, docente universitario, ha fatto notare che la Lubich «ha riassunto in modo eccellente l’intero pensiero di questo Paese, elaborato nel corso dei secoli. Noi crediamo nell’unità e nella diversità delle religioni e delle culture, ma il concetto che sottostà a tutto è l’unità e la fratellanza universale. Il suo messaggio sarà molto apprezzato dalle masse di questo Paese».

E un docente del Politecnico: «Su questa strada sono sicuro che possiamo raggiungere insieme qualcosa di importante per la nostra vita».

Il presidente dell’Università diceva di aver fatto «un’esperienza, insolita, spiritualmente molto elevata» e si augurava di poter avere altri incontri col Movimento «per continuare questo dialogo».

Calcutta:
con la Conferenza Episcopale

Chiara aveva ancora un altro impegno: era invitata a parlare ai vescovi della Conferenza episcopale indiana di rito latino riuniti a Calcutta dal 10 al 13 gennaio, dove trattavano il tema: “I laici per una Chiesa-comunione”. I vescovi desideravano ascoltare la testimonianza della Lubich su questo argomento e lei si è soffermata appunto sulla spiritualità dell’unità che anima il Movimento.

Questo le ha permesso di comunicare ai vescovi la sua gioia per aver trovato proprio in questi giorni un’alta parola di conferma nella lettera del Santo Padre Novo millennio ineunte, appena pubblicata, che auspica per la Chiesa intera, nel terzo millennio, quel nuovo dinamismo che può scaturire solo da una spiritualità di comunione.

Esponendo poi l’esperienza di dialogo del Movimento con l'Induismo, ha trovato un consenso generale. La strada intrapresa dal Movimento in questo campo è apparsa ai vescovi indiani una via inedita ed efficace. È stato apprezzato in particolare un approccio al dialogo basato sull’amore e sulla proposta di una teologia vissuta che – è stato detto – soddisfa pienamente le esigenze sia dell’annuncio sia del dialogo. Non può esservi contrapposizione – facevano notare – quando il messaggio che si dona è genuina esperienza di vita cristiana, perché veicola in forma vitale tutte le verità della nostra fede ed è sincero apprezzamento per quei “semi del Verbo” che sono sparsi in abbondanza nell’antichissima e ricca tradizione indiana.

Mons. Aloysius P. D’Sousa, vescovo di Mangalore, commentava ancora: «Questo messaggio di Chiara penso sia molto importante e tempestivo per il nostro Paese che attraversa un momento di recrudescenza di fondamentalismo religioso». E mons. Patrick Nair di Meerut: «Non sono parole ma teologia vissuta. Per questo fa effetto anche sui non cristiani, perché l’amore è la cosa più importante in un Paese come il nostro con tante diversità».

Alla tomba di Madre Teresa

Il giorno prima Chiara era andata a visitare la tomba di Madre Teresa per quell’amicizia che la legava e per l’ammirazione che sente verso di lei. Passando per un vicolo, si arriva alla Casa Madre e subito al pianterreno si trova la grande tomba bianca. Nella parte superiore del sarcofago, su una tavoletta di marmo rialzata, è scritto: “Amatevi come io vi ho amato – Madre Teresa 1910-1997”. E disegni di petali di fiori colorati danno un tocco d’orientale all’ambiente. Le sorelle si alternano appoggiando la fronte sulla tomba, quasi parlandole come continuassero un colloquio di anni prima. Di fronte un grande crocefisso con la scritta: “Ho sete”.

Chiara si sofferma in preghiera, poi sale al primo piano, dove suor Nirmala, succeduta a Madre Teresa, pur assente, ha radunato circa 300 delle sue suore, di cui 120 novizie, chiamate da tutti i conventi di Calcutta. Sono riunite nella grande sala-chiesa dove Madre Teresa, seduta a terra, si raccoglieva in preghiera. Tutti ricordiamo quell’immagine, ora scolpita quasi a grandezza naturale e messa nello stesso posto dove lei si poneva.

Prendendo la parola, Chiara ha ricordato il suo rapporto con “la Madre” – come qui tutti la chiamano – e ha ripetuto la frase che le diceva: «Quello che io faccio tu non lo puoi fare e quello che tu fai io non lo posso fare». Ha raccontato dei loro incontri al Centro del Movimento a Rocca, al Sinodo dei Vescovi del 1985, a Firenze per la difesa della vita, a New York quando già stava male. Poi in modo spontaneo ha parlato del suo carisma, degli inizi, del Vangelo. Infine ha invitato ad approfondire i legami di comunione fraterna tra il Movimento e la loro Opera.

Finito il discorso, le suore – tutte attentissime e dal volto luminoso – sono subito tornate, come api lavoratrici, al loro lavoro nelle proprie case e in giro per la città.

Una suora ha commentato: «Oggi Madre Teresa avrà esultato in Paradiso. Lei e Chiara s’intendevano bene prima, chissà ora!».

A Bombay:
con la comunità del focolare

È stato questo l’incontro conclusivo, senza dubbio il più festoso. È avvenuto a Bombay ed erano presenti 900 persone del Movimento provenienti da ogni parte dell’India, anche dai luoghi più lontani come lo Sri Lanka, il Bangladesh, il Nepal con la presenza dell’arcivescovo del posto, ora card. Dias, del cardinale emerito Pimenta e del vescovo Rosario, il primo a chiedere un focolare per l’India. È stata una mattinata di festa iniziata con la celebrazione eucaristica, durante la quale l’arcivescovo ha avuto parole di grande riconoscenza per quanto l’Opera di Maria sta attuando in terra indiana, invitando a portare a tutti il carisma dell’unità: «Questo amore di Dio deve andare fuori, a quelli che non lo conoscono o che non lo conoscono completamente, a tutti quelli che appartengono alla razza umana».

Un momento intenso è stato quando uno sposato ha presentato in forma poetica alcune frasi delle scritture indù. Ne citiamo una: «Siate uniti, parlate in armonia, pensate all’unisono, pregate in comune, incontratevi per gli stessi scopi, prendete decisioni all’unanimità, mantenete l’unità dei cuori e di intenti, che la vostra unità sia perfetta» (Rig Veda 10, 191, 24).

Poi, in un clima molto familiare, un dialogo aperto con tutti i presenti. In ogni Paese, dove è arrivata la spiritualità dell’unità, essa è entrata in dialogo con i seguaci di altre religioni. In India, chiamata il subcontinente asiatico per la sua estensione e per il suo alto indice di popolazione a maggioranza indù, non poteva mancare il dialogo con questo mondo religioso.

Tutti dicono che è un dialogo non facile perché, se non si è ben radicati in una vita cristiana autentica, si corre il rischio di rimanerne travolti e assorbiti. Molti stanno cercando di portarlo avanti anche in campo teologico, mentre il Movimento si sforza di dare la sua testimonianza di vita, facendo scoprire agli stessi indù tutti quei valori che già ci uniscono, e in tal modo è possibile costruire insieme un ambiente di mutua comprensione.

Quando il dialogo è autentico…

Chiara, di ritorno in Italia, ha sintetizzato brevemente quello che l’Induismo ha provocato in lei durante questo breve soggiorno.

«L’India misteriosa – ha detto – è un pozzo senza fine. E un elemento che emerge da essa è il fattore spirituale. Perché anche questo è l’India: terra di spiritualità, di interiorità, di fede. E chi è soltanto un po’ sensibile a queste cose, le coglie nell’aria. Esistono laggiù pratiche e usanze diverse e lontane da quelle che si vivono, ad esempio, nella nostra religione cristiana; eppure, vi è sempre, in questo popolo una tensione verso l’alto.

Per loro, per gli indiani, Dio è dovunque (anche se in maniera diversa da come noi lo pensiamo), e forse è proprio questa convinzione che non permette loro d’essere insensibili a Lui.

Così, mentre si costata questo, nel tuo cuore di cristiano, lo Spirito Santo lavora, approfondisce in te la tua fede, i vari aspetti della tua religione, il tuo modo di amare Dio.

Così è stato per noi, per me. Mi è sembrato infatti, fra il resto, di essere spinta a vivere più in profondità tutte le nostre pratiche religiose. E fra queste, la santa messa. L’ho vista ancor meglio sotto un suo aspetto: quello del dono. Non solo, ma anche come straordinaria consolantissima possibilità di dare a Dio qualcosa di proporzionato alla sua Regale Maestà».

Non dovrebbe essere questo il primo frutto, per noi cristiani, di ogni dialogo con l'Induismo?

 

a cura della redazione