Elogio della pazienza

 

Le proposte del cristianesimo, se autenticamente evangeliche, appaiono decisive per la qualità di vita dell’umanità. Ma devono sempre sormontare la difficoltà di apparire mete utopiche.

Ci può essere qualcosa di apparentemente più lontano ed irraggiungibile del tendere a realizzare fra tutti i popoli della terra una sola famiglia, dove si annullino le disuguaglianze ingiuste e dove i conflitti si superino con il dialogo e la solidarietà fraterna?

Ci può essere qualcosa che desti più scetticismo agli occhi di tanti, di una “cultura del dare” e di un’economia di comunione, quando tutti sanno per esperienza quali meccanismi e istinti negativi è capace di suscitare quel simbolo sociale potentissimo che è il danaro?

Ci può essere qualcosa di più stridente dello spettacolo offerto da coloro che – pur dicendosi discepoli di Colui che è venuto a dare la vita «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52) – si sono divisi a tal punto da far sembrare umanamente impossibile arrivare ad un’unità organica fra tutti i cristiani?

E per ciò che riguarda il tema di questo numero, cioè il dialogo religioso in genere ed in specie coll’Induismo, possiamo nasconderci che, nonostante ci uniscano delle realtà così alte e dei valori nobilissimi, le difficoltà per un dialogo fecondo ed unitivo sono gigantesche?

È vero che la speranza cristiana non si basa sulle forze umane ma sulla preghiera di Gesù al Padre, “che tutti siano uno”. Dio però ci chiama a costruire la storia da veri protagonisti, cercando risposte concrete e responsabili.

Per contribuire a far questo abbiamo presentato in queste pagine delle istanze e delle esperienze sul dialogo interreligioso a partire dal carisma dell’unità, che sono state da tanti riconosciute inedite ed efficaci. Riguardano l’atteggiamento di profondo ascolto che sa “mettersi nella pelle dell’altro”, il dialogo della vita, la centralità dell’amore che può essere universalmente compreso ed accettato, ed altre ancora che il lettore stesso potrà trovare.

Si capisce allora come mai Dio susciti dei carismi lungo il corso della storia. Perché di fronte ai problemi immensi che l’umanità deve affrontare, c’è bisogno di una fede e di una certezza carismatiche per andare avanti verso il disegno di Dio senza scoraggiarsi mai.

Perciò è normale nei fondatori trovare presenti in modo vivissimo due virtù inseparabili. La “fretta dello Spirito Santo” per lasciare ben piantati dei semi autentici, e la pazienza storica, sapendo che quei semi dovranno fruttificare attraverso i secoli.

Un libretto di qualche anno fa, dei teologi E. Jüngel e K. Rahner, si chiamava La pazienza di Dio e dell’uomo. Il libro si apriva con la frase seguente: «La pazienza è il lungo respiro della passione. Ogni grande passione ha bisogno della pazienza». Anche la passione per l’unità.

È interessante notare a questo riguardo con quale forza il Nuovo Testamento parli del “Dio della pazienza” (Rm 3, 26; 2Pt 3, 9), e descriva la storia come “il tempo della pazienza di Dio” (Rm 15, 5; 9, 22; 1Pt 3, 20).

Bisognerebbe guardare quali sono le caratteristiche di questa pazienza divina: quanto rispetta i ritmi umani di maturazione ma senza abbandonarci mai, con una dedizione totale, ricominciando sempre, credendo sempre, aspettando sempre, lenendo le piaghe, ridando vigore, condividendo dal di dentro anche i nostri più profondi tormenti, costantemente disponibile a suscitare vita nuova e genuina...

È chiaro che per costruire qualcosa di positivo nel mondo bisogna che diventiamo partecipi di queste qualità della pazienza divina. Non si tratta di fare un’esortazione moralistica: «siamo buoni, andiamo avanti nonostante tutto, non molliamo». Si tratta di assumere la storia con tutte le sue lentezze, complessità, iniquità, sapendo vivere “la stoltezza della croce” con la sapienza e la potenza della vita di Dio. Non per niente – forse non ci abbiamo fatto caso – la pazienza è stata annoverata fra i frutti dello Spirito Santo (Gal 5, 22).

Perciò aveva ragione chi recentemente dichiarava, riferendosi al dialogo interreligioso (ma vale per ogni altro dialogo), che coloro che vogliano portarlo avanti costruttivamente devono «farsi guidare dallo Spirito Santo, per coglierne i tempi e i modi: per parlare e per tacere, per muoversi e per attendere, per avere insomma la pazienza di Dio, e dire le parole giuste al momento giusto».

Enrique Cambón