«La catechesi è un aspetto fondamentale della funzione educativa della Chiesa e dello stesso ministero sacerdotale. Cosa consiglieresti per farla più feconda ed efficace?»

(Parroco ed équipe di catechisti  - Abruzzo)

Il cuore
di una catechesi vitale

Ricordo un libro edito diversi anni fa che raccoglieva gli atti di un congresso di catechetica realizzato a Rocca di Papa, dal titolo: Per una catechesi vitale. Oggi tutti riconoscono che la catechesi non può ridursi a “lezioni”, a trasmissione teorica di nozioni, ma ogni incontro catechistico deve proporre un cristianesimo calato nella vita quotidiana e nella storia concreta dell’umanità.

È una conseguenza della consapevolezza raggiunta nella cristianità che tutte le verità di fede hanno delle conseguenze importanti per la vita della persona e della società. E che il nostro cristianesimo è misurato, prima ancora che dall’esattezza delle affermazioni teologiche, dalla coerenza e radicalità della nostra vita evangelica.

In altre parole, è come se risuonasse anche per la catechesi il detto biblico «siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori» (Gc 1, 22). La finalità della catechesi infatti è quella di produrre un incontro vitale con la Parola di Dio, che possa interpellare, orientare, trasformare la vita.

Questo sembra ormai quasi un’affermazione banale, universalmente riconosciuta, ma quando lo si vuol far passare nella pratica, non risulta facile aiutare i catechisti a capire come attuarlo.

Infatti, avendo lavorato molti anni nella formazione dei catechisti, la maggior parte dei miei sforzi creativi erano rivolti a cercare modi diversi di presentare soprattutto un’idea: far catechesi significa sostanzialmente seminare la Parola di Dio e poi accompagnarne la crescita.

Più in concreto, quello che non può mancare in nessun metodo catechistico è di fare, alla fine di ogni incontro, una proposta da vivere a partire dell’insegnamento di quel giorno, e nell’incontro seguente prevedere sempre lo spazio per raccontarci reciprocamente come l’abbiamo vissuta. E’ il modo per far sì che le realtà di fede che proponiamo scendano nella vita.

In altre parole, l’obiettivo della catechesi è quello di tendere a fare dei veri discepoli di Gesù, che imparino a pensare, ad agire, a vivere come lui. Il successo della nostra catechesi si vede dalle “conversioni” che Dio opera, dai frutti che produce nelle persone, nelle famiglie, nei posti di lavoro, nell’impegno ecclesiale e sociale, e via discorrendo.

Direi che in questo senso, se molti aspetti possono risultare importanti per la catechesi (come l’atteggiamento positivo delle persone che la ricevono, i testi usati, il modo aggiornato, didattico ed inculturato di proporla), la realtà decisiva sono i catechisti. Perché i migliori testi e contenuti, con catechisti che non sappiano donare e suscitare vita, diventano inefficaci; mentre catechisti che partano da un’esperienza personale e comunitaria evangelica, saprebbero ricavare frutti di vita praticamente da qualunque testo.

Il Vaticano II assieme a documenti e studi ecclesiali di tutti i generi, mettono oggi in rilievo ciò che è il centro del messaggio evangelico: Dio è Amore, e il suo progetto sull’umanità è far circolare quello stesso amore fra gli esseri umani. Ancora nella sua ultima lettera aprendo il Terzo Millennio, il Papa riafferma che «la comunione incarna e manifesta l’essenza stessa della Chiesa». E poi aggiunge, echeggiando la prima lettera ai Corinzi: «Tante cose saranno necessarie per il cammino storico della Chiesa, ma se mancherà la carità (agape) tutto sarà inutile». Così è, ovviamente, anche nella catechesi.

Quindi, per dirlo da una prospettiva intonata con tutto il presente numero della rivista, il rapporto è al centro della catechesi. Non per niente si parla di “catechesi relazionale” e della necessità che i catechisti possiedano una “personalità relazionale”. E ciò almeno in un triplice senso.

In primo luogo perché la catechesi deve poggiare su un rapporto di carità autentica all’interno del corpo dei catechisti, e fra il catechista e coloro che ricevono la catechesi. Questo, come in ogni rapporto pedagogico, fa sì che le persone si aprano maggiormente al messaggio positivo che ricevono, ed abbiano più luce per capirlo e per metterlo in pratica.

In fondo, le proposte di vita che facciamo attraverso i vari livelli di catechesi, non hanno altro scopo che insegnare l’arte di saper rapportarsi con tutto e con tutti secondo la mentalità ed i valori del Vangelo. Rapporti che siano uno spiegarsi dell’amore evangelico in tutti gli ambiti dell’esistenza.

Infine, da decenni, i documenti ecclesiali (dal Vaticano II al Sinodo dei vescovi del ‘77 sulla catechesi, dalla Catechesi tradendae al recente Direttorio Generale della Catechesi, per citarne solo alcuni più importanti) si riferiscono alla comunità come origine, luogo e fine della catechesi. Ed è logico, perché da una parte la testimonianza di una autentica comunità cristiana supporta e fa credibile la Parola che trasmettiamo, e dall’altra «accoglie i catechizzandi in un ambiente fraterno in cui potranno vivere nel modo più pieno ciò che hanno appreso» (DCG, 220).

Poiché ho accennato alla lettera Novo millennio ineunte, vorrei concludere con una sua frase che mi è sembrata un programma anche per la catechesi: «Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia».

Enrique Cambón