Come stabilire un autentico contatto interpersonale?

 

Nel processo educativo si stabilisce un rapporto tra due soggetti singoli (educatore - educando), tra un soggetto singolo e un piccolo o grande gruppo di individui, o tra un gruppo educante e un gruppo di individui da educare. Ma la realtà è che il rapporto, in definitiva, è sempre e solo tra due soggetti individuali, poiché ogni educando si ritiene in relazione diretta e personale con l’educatore.

La deontologia di questo rapporto è la stessa sia tra medico e paziente, sia tra psicologo o psicoterapeuta e paziente, sia nella stessa intimità della famiglia tra marito e moglie, tra genitori e figli: si tratta prima di tutto di "stabilire una comunione" con l’altro. Ma è anche vero che detta deontologia vale per ogni colloquio che voglia essere produttivo, per ogni discussione, per ogni dialogo a dimensione di gruppi, di Chiese, di religioni o di popoli. E questo perché ogni rapporto è un processo dialettico nel quale ognuna delle due parti è ugualmente coinvolta, al punto che se, ad esempio, l’educatore non sa mettersi in discussione, può venire ostacolato nel successo da possibili pregiudizi più o meno inconsci, così come dalla sua fondamentale concezione del mondo. Questo significa che quando si entra effettivamente in comunione, anche l’educatore deve farsi educando.

Entrare in contatto con l’altro vuol dire allora accettarlo sinceramente come egli è, altrimenti il contatto non è possibile. Chi ha un giudizio negativo, anche inespresso, verso chi si rivolge a lui, non può stabilire con lui alcun rapporto educativo, alcun dialogo utile. Sa quindi di assoluto la norma evangelica e paolina di "non giudicare" il prossimo.

Lo stesso fallimento si otterrebbe cercando di compiacere l’altro in ogni cosa, dandogli sempre ragione.

Solo un atteggiamento umano che sia rispettoso dell’altro, della sua dignità infinita come persona, per quanto possa essere offuscata da ferite o da situazioni tragiche, può arrivare a stabilire un autentico contatto interpersonale benefico. E pertanto, la norma deontologica e psicologica da seguire per poter entrare in comunione, sarebbe quella che si applica in teologia al fatto dell’incarnazione del Verbo: "ciò che non viene assunto non viene redento". Ma non sembra nemmeno difficile assumere l’altro così come è, se si osserva la regola data da san Paolo: "considera l’altro superiore a te stesso" (cf Fil 2, 3).

È una condizione, questa, che può diventare ostica da raggiungere, se non si parte dalla convinzione che dobbiamo anzitutto accettare noi stessi così come siamo, cosa che spesso è disagevole se non cerchiamo di autoingannarci. Ma sappiamo del resto che "si passa dalla morte alla vita amando il fratello" (cf 1Gv 3, 14), e che nell’amore vero c’è il superamento di ogni limite personale.

Silvano Cola