La realizzazione di quest’opera ha visto uniti tutti i credenti, compresi i musulmani

 

Una chiesa in armonia con l’ambiente e i suoi abitanti

di Bojan Ravbar

 

Superando molte difficoltà, soprattutto a causa del regime comunista allora imperante nel loro Paese, i credenti della città di Koper (Slovenia), perché uniti, sono finalmente riusciti a costruire una chiesa ammirata oggi da tutti per le sue caratteristiche peculiari e per la sua bellezza e funzionalità.

È sembrato un sogno l’inaugurazione di una chiesa nuova, dedicata a San Marco e situata nella parte nuova della città di Koper (Capodistria). Una costruzione iniziata nel 1989, quando la città faceva parte della Repubblica Socialista della Jugoslavia.  Allora, in un Paese che s’ispirava all’ideale marxista, si impediva con tutti i mezzi la costruzione di edifici di culto, perché avrebbero ostacolato lo sviluppo di una società nuova, libera da ogni “alienazione religiosa”.

Sono noti i vari metodi che il regime utilizzava a questo scopo. Il controllo diventava ancora più severo quando si costruiva un nuovo quartiere: qui non doveva esserci assolutamente alcun segno che richiamasse anche lontanamente la fede in Dio.

In questo clima era quindi estremamente difficile ottenere un terreno per edificarvi una chiesa.

Koper nel dopoguerra è passata da 6.000 a 25.000 abitanti. Qui sono stato parroco per 21 anni. La realizzazione del progetto di una nuova chiesa sembrava, dunque, impossibile, anche perché le autorità del municipio, per costruire nuovi caseggiati, nell’agosto del 1980, avevano decretato la demolizione di una cappella del 1727, appunto nella zona dove il suo funzionamento sarebbe stato particolarmente utile agli abitanti, anche se insufficiente.

Con il tempo nella Jugoslavia le cose sono cambiate e col referendum del 1990 la Slovenia ha ottenuto l’indipendenza. Poi anche la Croazia ha imboccato la stessa strada, mentre in altre parti si sono accesi quei focolai di guerra che tutti conosciamo. L’affievolirsi della rigidità del regime comunista, verso la fine degli anni ottanta, ci ha consentito di portare a compimento i progetti della costruzione della nuova chiesa, ed il primo febbraio del 1989 si è dato inizio ai lavori.

Una favorevole congiuntura economica ed il concorso di molte generose persone hanno agevolato il suo andamento fino a portare ben presto a termine i lavori: in soli sette mesi la costruzione era completata, compresa la casa parrocchiale con le aule per le varie attività formative.

Dicono che il complesso da noi edificato sia un vero gioiello. Esso sovrasta il piccolo golfo di Koper e la nuova vasta borgata sottostante come una minuscola “città posta sul monte”.

Progetto laborioso ma ben riuscito

Il progetto è stato preparato e accompagnato nell’esecuzione da una équipe di architetti ed altri esperti e consiglieri. Gli architetti Ivan Bregant e Joze Marinko hanno ideato e disegnato l’insieme, inserendolo con maestria nell’ambiente.

Il loro compito non è stato facile, dovendo incastonare il tutto nella pendice del colle San Marco, che si erge sopra la distesa azzurra dell’Adriatico. D’altra parte l’edificio dedicato al culto, pur rimanendo fedele alle nostre norme liturgiche, non doveva offendere l’occhio di chi non condivide le nostre idee religiose. Quindi una struttura artistica, accogliente ed “aperta a tutti”.

Durante secoli l’edificio chiesa ha rappresentato l’elemento dominante nei nostri paesi e nelle nostre città, dando loro un timbro particolare. Sono numerose le località di questo tipo lungo la costa, sulle colline dell’Istria e in tutto il resto del nostro territorio. Oggi ogni nuova costruzione, volendo restare vicina alle persone del posto, deve rispettare la tradizione e, allo stesso tempo, arricchire l’ambiente con la propria nobiltà. Dicono che la nuova chiesa, sorta in un’epoca di tante controversie, è riuscita in questo intento.

Il complesso monolitico è ben articolato: la composizione dei suoi tetti riflette la sottostante cittadella medioevale, adagiata in fondo al golfo. Il campanile è al centro della costruzione, ma non spicca troppo sulle costruzioni verticali dei caseggiati che dominano le nuove borgate, pur restando ben evidenziata la sua funzione simbolica di centro unificatore. Stupendo poi il panorama che dal piazzale del sagrato si allarga sull’azzurro del mare, mentre alle spalle c’è la cornice maestosa delle Alpi.

Tutto converge all’uno

Il complesso, che comprende la chiesa, le sale e la casa parrocchiale, viene a trovarsi sotto un unico tetto. La funzione del modesto campanile è carica di un altro simbolismo. Esso addita dal di fuori il cuore pulsante, il vero centro dell’edificio: l’altare e, non lontano da esso, il tabernacolo. È da notare che la stessa funzione risalta anche nell’interno, perché un fascio luminoso, penetrando attraverso un foro centrale sotto il campanile, illumina l’altare e il tabernacolo.

Questo convergere all’uno viene accentuato e facilitato all’entrata dallo spazio voluminoso della hall come anche dalla forma a semicerchio dell’unica navata. Ciò vuole indicare che lo spirito evangelico sta forgiando la comunità in un unica famiglia a mo’della Trinità, trasformandola ed elevandola verso Dio per proiettarla poi nella vita di ogni giorno.

Si potrebbe parlare di altri particolari ancora, come dell’asse dominante, situato parallelamente alle componenti del terreno; degli elementi architettonici e dei materiali usati, che sono quelli dell’ambiente mediterraneo.

C’è anche un’area esterna spaziosa utilizzata per il parcheggio e per un bel prato verde che invita alla distensione. Il tutto è stato pensato e realizzato anche dall’amore spontaneo della comunità. I padri di famiglia hanno voluto piantarvi degli ulivi, dando alle singole piante i nomi dei loro figli, ispirandosi al Salmo che li paragona a “virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa”.

Costruire la chiesa viva

Il tempo di attesa per dar vita a quest’opera non è stato inutile, perché ha favorito il consolidarsi della comunità cristiana. L’imbattersi continuo nelle difficoltà ci ha offerto l’occasione per crescere “nell’amore reciproco e verso tutti” e ci ha ricordato che nostro compito non era tanto quello di costruire un nuovo edificio, ma quello di edificare la chiesa viva. Dio non aveva poi tanta fretta di veder sorgere le mura, quanto di vederci uniti nel suo nome, perché è questo il luogo da lui scelto per abitare in mezzo a noi.

Forse era sintomatico il fatto che in un gruppo parrocchiale, che aveva iniziato a radunarsi per scoprire e vivere il Vangelo, ad un certo momento si son trovate insieme due persone: una ex-detenuta del regime comunista e la sua custode carceraria. Nel clima di fraternità che qui si respirava, hanno avuto il coraggio di accogliersi e di riconciliarsi. Non solo, ma quando la ex-custode stava morendo, la sua “carcerata”, insieme ad altri, le stava vicino per assicurale il suo amore e il suo perdono.

Le strutture portanti della comunità

E qui mi tornano alla mente tante persone che, con la loro sofferenza, hanno sostenuto la comunità. Tra loro un uomo stroncato dal cancro, che nei giorni più decisivi della malattia è vissuto sostenuto dall’amore non solo dei famigliari ma di tutta la comunità. Una giovane mamma colpita dallo stesso male, nei due anni del suo calvario, ha incontrato tanti altri malati e, nutrendosi della Parola di Dio e dell’Eucaristia, ha potuto infondere in loro luce e speranza. Proprio in ospedale ha preparato una sordomuta ai sacramenti ed un’altra, cresciuta senza fede, all’incontro con Dio.

In questo periodo i giovani hanno aiutato i loro colleghi divenuti inabili a causa di incidenti e questi, una volta sperimentato l’amore di Dio attraverso i colleghi che vivono “uniti nel suo nome”, sono divenuti anch’essi vere calamite che trasmettono gioia e attirano altri giovani spesso cresciuti senza Dio.

L’aiuto fraterno fra tutti i credenti

Una cosa significativa è stata l’aprirsi ai fratelli della chiesa ortodossa e della comunità musulmana. Gli uni e gli altri, confluiti a Koper da altre parti della Jugoslavia in cerca di lavoro, hanno cercato di inserirsi nel nuovo ambiente. Trovandosi però lontani da casa e tra gente di cultura diversa, spesso si smarrivano. La nostra comunità ha offerto agli ortodossi una chiesa nell’antico nucleo della città, aiutando anche il loro "pope" nel difficile compito della catechesi, e ai musulmani è venuta incontro, prestando una sala dove riunirsi per il ramadan e le altre feste religiose.

Questi ultimi, riconoscenti per la nostra accoglienza, sono stati tra i primi a raccogliere una somma per la costruzione della nostra chiesa, con questa motivazione: «Noi diamo a Dio questi soldi, consci che quando si tratta di costruire una moschea o una chiesa, sono sempre mura sacre che si ergono». E nella loro gratitudine hanno voluto farci un altro dono: ci hanno raccontato in quanti posti nei loro testi sacri viene nominata Maria, «perché – ci spiegavano – è stata proprio lei a formare quel grande cuore cristiano, che abbiamo trovato in voi».

A distanza di undici anni, volgendo indietro lo sguardo, posso costatare che resta in piedi solo quello che seminiamo con amore.

Bojan Ravbar