È nata così l’abitazione del Centro dei sacerdoti e diaconi volontari del Movimento dei focolari

 

Una casa che racconti la nostra vita

di Lino D’Armi

 

Anche i responsabili del centro dei sacerdoti e diaconi volontari da due anni hanno una loro casa. Abbiamo intervistato coloro che attualmente vi abitano.

Una casa per i sacerdoti volontari

GEN’S: Avete da poco inaugurato una casa. Con quale funzione? Come siete riusciti ad acquistarla?

Tra coloro che aderiscono alla spiritualità del Movimento dei focolari ci sono sacerdoti e diaconi permanenti del clero diocesano che sono chiamati “volontari”. Essi, nella piena vocazione ad essere in tutto e per tutto diocesani, cercano di vivere il carisma dell’unità, trovando in esso luce, energia, creatività, per essere autentici servitori della Chiesa locale, nella piena comunione col proprio vescovo e con gli altri sacerdoti del presbiterio.

Da tempo avvertivano l’esigenza di avere una sede centrale, come punto di riferimento mondiale per mantenere contatti e per far circolare regolarmente la vita con tutti i mezzi di comunicazione a nostra disposizione. A questo scopo, due anni fa siamo riusciti ad acquistare una casa che un nostro vicino ci andava proponendo da qualche anno, per diverse circostanze ad un prezzo eccezionale. A parte altre convenienze, c’è il grande vantaggio che si trova nello stesso complesso entro cui ci sono altre due case nostre, in una delle quali ha sede anche l’ufficio centrale della branca.

Che ciò rientrasse nel piano della Provvidenza dal punto di vista economico ne abbiamo avuto conferma dalla risonanza che c’è stata tra i sacerdoti e diaconi. Infatti, oltre la comunione di beni che facciamo normalmente secondo lo stile dei primi cristiani che «mettevano i beni in comune», da ogni parte sono arrivati contributi straordinari che ci hanno consentito sia l’acquisto che la ristrutturazione e l’arredamento della casa.

GEN’S: Parlando dei focolari, Chiara dice: «Nulla la casa abbia di ufficio o di albergo. Tutto sia luminoso e caldo ed ordinato com’è ordinato ciò che esce dalla mano di Dio. Il focolare sia bello come la natura: come un prato, come il cielo». Con quale atteggiamento voi l’avete arredata?

Anche se questa casa aveva meno di vent’anni, c’era bisogno di fare dei lavori prima di poterla abitare. Il nostro scopo non è stato solo quello di assicurarne la funzionalità: cosa peraltro facile, dal momento che si tratta di una costruzione moderna. Sia nelle poche ristrutturazioni, sia nell’arredamento - da provvedere per intero in tutti e tre i piani della casa - abbiamo cercato di rispondere a quell’esigenza di armonia che è uno degli aspetti della nostra spiritualità.

“Fatta in unità”

Un criterio che abbiamo cercato di seguire è stato quello di superare il più possibile la soggettività, il gusto dei singoli. Cioè, oltre che confrontarci fra di noi, abbiamo chiesto pareri, consigli, indicazioni concrete e dettagliate a più persone, secondo le particolari competenze di ciascuna di loro. E questo sia a proposito dei colori che delle strutture: dalle piante del giardino ai quadri da appendere nelle stanze, dai mobili ai punti luce, dai tendaggi all’attrezzatura della cucina o delle camere, e così via.

Questo per cercare di tendere a quell’armonia “che esce dalla mano di Dio”. E l’abbiamo fatto cercando anche di non spendere più dello stretto necessario, perché non è detto che il bello coincida col ricco. E stando alle impressioni di coloro che vengono a trovarci, avvertiamo una conferma che almeno ci siamo sforzati di rispondere a quell’esigenza.

GEN’S: Accanto alla vostra casa c’è, come avete accennato, un’altra con uffici. Con quale scopo?

Facciamo del lavoro anche in casa, ma gli uffici li abbiamo voluti tenere distinti, appunto perché la casa resti tale e non perda quel timbro di famiglia, che deve esserne l’anima di ogni attività, la condizione, la garanzia di muoverci nell’amore fraterno.

Il nostro ambiente di lavoro, a sua volta, è come un punto d’incontro virtuale, un carrefour  ideale, a partire dal quale costruire la comunione più profonda possibile, attraverso – come dicevamo – i mezzi più svariati, quali convegni, corrispondenza personale, telefono e simili, e anche tramite una Lettera di aggiornamento periodica, in sette lingue, che raggiunge un migliaio di sacerdoti e diaconi sparsi nei cinque continenti.

Ma, proprio perché ciò non si appiattisca in un fare puramente burocratico e formale, dev’essere sostenuto e affiancato dalla testimonianza di persone che già mostrano – almeno nell’impegno – la fattibilità concreta dei messaggi di comunione che trasmettono.

Degna di ospitare Gesù tra noi

GEN’S: «Il focolare dev’essere in certo modo, anche una chiesa, un tempio», dice ancora Chiara. Come attuate quest’aspetto nella vostra convivenza?

Un punto fondamentale della nostra spiritualità è permettere con la nostra vita il manifestarsi della presenza di Gesù tra noi per realizzare il suo testamento: “che tutti siano uno”. Il Risorto in mezzo a noi è lo scopo della nostra convivenza. E questo si realizza attraverso la ricerca dell’amore scambievole, una ricerca il più possibile costante, fino alla piena unità. Mai si realizzerà l’unità del genere umano, come è nel disegno di Dio, se non si moltiplicano nel mondo queste “cellule” di vita trinitaria.

A questo proposito ci è parso sintomatico il nome che Chiara ha voluto dare a questa casa. Era la festa di Cristo Re quando abbiamo cominciato ad abitarla due anni fa. In risposta a una nostra lettera Chiara ci diceva tra l’altro: «“Cristo Re” sia il nome e la realtà di questo Centro». Per noi era una speciale conferma e un grande impulso a fare di questa casa un luogo dove Gesù possa veramente regnare, e non solo per noi che ci abitiamo fisicamente, ma anche per tutti coloro che vi fanno riferimento. È impegno di tutti, infatti, tenere sempre viva la presenza di Gesù nel presbiterio diocesano e nelle comunità che ci sono affidate.

Da parte nostra vorremmo che questa casa, prima che essere la nostra abitazione, fosse ogni giorno la casa del Verbo di Dio che, incarnatosi nella nostra natura, ritorna vivo e presente là «dove due o tre sono riuniti nel suo nome».

Perciò, i più ordinari dettagli materiali del nostro vivere – dalla pulizia alla preparazione del cibo, che in parte viene fatta anche da noi, dal mangiare al dormire – è come se fosse Gesù stesso in mezzo a noi a farli.

In questo modo cerchiamo che non solo gli elementi spirituali della nostra vita, ma anche la realtà materiale del nostro quotidiano si vesta di divino ed abbia lo stesso effetto nel diffondere il regno di Dio.

Al mattino basta il semplice saluto per rinnovare il patto dell’amore reciproco e dare così significato e pienezza alla nuova giornata. Quando appaiono difficoltà dovute ai nostri limiti, ci si aiuta guardando alla scelta fondamentale della nostra vita: Gesù nel mistero del suo abbandono. E torna la luce.

GEN’S: Le linee di vita dei sacerdoti e diaconi volontari dicono tra l’altro che essi devono praticare l’ospitalità, specialmente verso gli altri sacerdoti. E perciò offrire una casa che sia accogliente e sobria, in modo che ciascuno possa sentirsi a suo agio. Questo succede già in qualche modo con la vostra casa?

Ormai sono tanti i sacerdoti che sono passati qui per ragioni varie: o venuti di proposito dalle loro sedi, o capitati in occasione di convegni o per altre circostanze. Ci conforta la concordanza delle loro impressioni come di tanti altri visitatori occasionali. Un aggettivo è in genere la prima parola che essi pronunciano, già al primo impatto, con spontaneità e calore: “Bello!”. La nostra aspirazione è che questo ‘bello’ sia l’espressione esterna di un’altra bellezza, quella della vita di Dio nell’armonia del rapporto trinitario, di cui la nostra convivenza è chiamata ad essere una proiezione, un riflesso.

Ciò che più ci colpisce è che quelli che vengono a trovarci sono tanto diversi tra loro: per provenienza geografica - arrivano da tanti paesi dei vari continenti -, culturale, stato sociale, età, anche fede.... Ebbene, chi con un’espressione chi con un’altra, fanno eco a quello che Chiara dice dovrebbe essere la constatazione di chi entra nelle nostre abitazioni: «In questa casa non c’è niente di speciale, ma ci si trova bene; c’è qualcosa di armonioso, di moderno».

Manca qualcosa alle case dei preti?

GEN’S: Chiara cita nel suo tema un testo di Carlo Carretto, dove dice fra l’altro che «siamo fatti per una casa che ci dia il senso della stabilità, della continuità, del riposo… dove ci siano dei fratelli». Pensate che le case dei sacerdoti riflettano ciò? Qual è la vostra esperienza a riguardo e quella dei tanti sacerdoti che conoscete?

Se si osserva che una casa di sacerdoti non riflette quell’affermazione di Carretto, crediamo che la ragione principale sia il fatto che la loro convivenza forse non è sufficientemente poggiata sulla scelta di Gesù crocifisso e abbandonato come chiave e misura di tutta la propria vita. Soltanto l’amore a lui è capace di superare le inevitabili difficoltà a cui va incontro ogni convivenza umana. Solo da qui può nascere quell’armonia, quella gioia, quel calore, che dovrebbe caratterizzare sempre le nostre case. Nel nostro piccolo e con le nostre ovvie limitazioni, ne vediamo una conferma quotidiana nella nostra convivenza.

GEN’S: «L’ambiente che ci accoglie sia per i nostri fratelli carità», dice un altro passo del tema di Chiara. Volete raccontarci qualche episodio da voi vissuto?

Una costante riguardante la nostra vita in questa casa, a cui assistiamo normalmente, è che sia noi che vi abitiamo, sia quelli che vi passano, avvertiamo tutti il desiderio di restare o di tornare. Sperimentiamo ciò in vari momenti, quando riusciamo a creare una vera comunione, un clima di famiglia in senso evangelico, e anche negl’incontri casuali con altre persone. Non appena quel clima investe anche loro, esprimono il desiderio di restare più a lungo. “Non essendoci niente di speciale in questa casa” se non la novità della vita che si cerca di esprimere anche nell’arredamento, non sarà la presenza di Gesù a creare un certo interesse?

a cura della redazione