Dal Castello interiore al castello esteriore

Giuseppe Maria Zanghì  

Tutti  i maestri di spirito di tutte le fedi religiose lo sanno: inoltrarsi nelle vie dell’interiorità è superare il proprio io e raggiungere, fino a toccarlo (è la contemplazione), l’Assoluto che inabita nel profondo di ciascuno di noi. L’Assoluto cui è strutturalmente aperta l’intimità nostra, così da essere, prima che se stessa, invocazione, ricerca, attesa di Lui. L’Assoluto che è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso.
Nella realtà cristiana, però, – ed è la sua caratteristica – questo Assoluto  non è il senza–forma: Egli ha i lineamenti del Cristo. Nel fondo di me, il Cristo custodisce per me l’Assoluto, Dio, e me lo dona, ci fa uno fino ad essere – come dice la tradizione cristiana – una Realtà sola, senza confusione e senza separazione.
Il Cristo è la Parola eternamente generata nell’Abisso di Dio, e che si è fatta uomo! Dunque, la Parola che dice Dio, che è Dio, è anche uomo, è parola di uomo! Un ponte è gettato fra me e l’Assoluto, così che posso passare a Lui, perdendomi e insieme ritrovandomi nel Cristo. Questa fede, tipica del cristianesimo, caratterizza subito la vita interiore cristiana: infatti l’uomo che la Parola di Dio si è fatta è – come dice la Scrittura cristiana – «Figlio dell’uomo»: è intensamente ed autenticamente uomo.
Lo diciamo subito: avere comunione con Lui, il Verbo di Dio generato nell’eternità, è avere comunione con l’uomo figlio di Maria, generato nel tempo, dunque nostro fratello nella comune umanità. Aprirsi all’accoglienza della Parola eterna di Dio, è aprirsi allora all’accoglienza dell’uomo che Egli si è fatto: aprirsi all’accoglienza di ogni uomo e donna, di tutti gli uomini e donne, che gli sono fratelli nell’unica umanità.
La vita interiore cristiana è, dunque, intrinsecamente aperta alla comunione con Cristo e, inseparabilmente, con gli uomini. I grandi mistici cristiani sono stati, quasi sempre, grandi facitori di opere. È ciò che stupiva – come notava Giuliano l’Apostata – gli antichi. E qui dobbiamo porci una domanda: la vita interiore,  come può essere vissuta in qualche cosa di “esteriore” quale può apparire la comunione con  gli altri?
La vita interiore è cercare le vie dell’inabissamento nel fondo del soggetto per superarlo; aprirsi agli altri sembra, all’opposto, uscire dall’interiorità, negarla, riconsegnandosi alla molteplicità delle forme che non sono l’Uno.
Ma è vero ciò? Una cosa è certa per tutti i cercatori di Dio: la via dell’interiorità è superamento di ogni molteplicità per inoltrarsi nella via dell’Uno. È superamento – che è abbandono – delle vie della razionalità abituata a discorrere; della volontà nella quale, in fondo, l’io cerca se stesso; degli affetti e della sensibilità, come presenza in me e a me di ciò che non è Uno.
La via dell’interiorità è superamento dell’io costruito da me e dagli altri per raggiungere il vero Io, quello il cui segreto giace nel grembo della Trinità. Ma come raggiungere questo superamento che è spogliazione? Spogliazione che tanto più sarà totale, tanto più condurrà nel cuore dell’Assoluto? La risposta cristiana è maturata non senza difficoltà nei secoli e oggi si apre ad un’ulteriore ricchezza di comprensione, comprensione nella quale confluisce la ricchezza dinamica di una lunga e complessa tradizione di spiritualità e di pensiero, ed insieme si esprime il desiderio dell’amore cristiano di rispondere nella luce alle domande degli uomini e delle donne contemporanei.
La risposta cristiana continua nei secoli e con una sua progressione, ad aprire una via originale che ha nel suo sfondo il Cristo, Parola di Dio fatta uomo, e l’Assoluto-Dio da Lui rivelato, la Trinità: Dio Amore. Posso spogliarmi di tutte le forme della mia interiorità per raggiungere l’interiorità dell’Uno Assoluto, di Dio, rinunciando all’esercizio di esse.
È la via grande e nobile dell’ascesi. Ma c’è un’altra via. Posso spogliarmi delle forme della mia interiorità, (pensieri, volontà, affetti), proprio nell’esercizio stesso di esse, a condizione però (e questo è fondamentale) di farne dono. Donare il pensiero. Donare la volontà. Donare gli affetti. Donare, con la terribile radicalità che il Cristo ha vissuto nella sua carne, sino all’abbandono di Dio e alla morte sulla croce. Ora, se io così dono, io mi privo di ciò che do. Non è più mio. Non lo ho più. Allora, posso attingere il silenzio interiore non tanto tacendo, quanto esprimendomi, a condizione, però, che questo esprimermi sia spogliarmi della parola, della volontà, degli affetti, donandoli con radicalità assoluta, così che non siano più miei.
Ma a chi ne faccio dono? A Dio, certo. Ma, per un cristiano, al Dio-Uomo, il Cristo. Quel Cristo che mi ha invitato – mi invita – a riconoscerlo nei fratelli e nelle sorelle che la vita mi pone accanto. «Ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (Mt 25, 40). Io raggiungo allora la mia interiorità nella sua verità donandola ad essi nell’atto stesso in cui in essa li accolgo. Donando la mia interiorità, nel dialogo sincero, nella comunione profonda di pensiero, nelle opere concrete che l’amore domanda. Sono i miei fratelli e le mie sorelle che mi spogliano della mia interiorità limitata accettando il mio dono, il dono di me.
Questo domanda, però, un’ulteriore riflessione. Il Cristo ha dato come suo proprio comando, chiamandolo nuovo, quello dell’amarsi gli uni gli altri: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Che cosa significa ciò per il discorso che stiamo suggerendo? Significa che al mio movimento di uscita di me da me nel dono, deve rispondere il movimento di uscita di sé da sé nel dono  dell’altro, uomo o donna.
Se ciò accade, questo donarsi reciprocamente le proprie interiorità genera e fa emergere un nuovo spazio di incontro, spazio di incontro che non sono io, che non è l’altro o l’altra. Né è esteriorità: è lo spazio dell’interiorità stessa del Cristo, che l’amore reciproco fa presente fra noi. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt. 18,20).
La mia interiorità nella comunione con il fratello o la sorella, ora viene assunta con la loro in quella del Cristo, diventa la sua, si ritrova nell’interiorità stessa di Dio, e nello stesso tempo mi viene restituita come mia (è il mistero cristiano della risurrezione della carne), ma ora comprensiva di ogni uomo e donna con cui ho comunione. Viene condotta là dove la Parola incarnata e risorta è: viene condotta in quella comunione trinitaria che è, se così posso dire, l’interiorità più interiore dell’Assoluto Uno.
Se così vivo, ogni gesto, ogni atto della mia giornata è cammino di interiorità. Nel “fare” vissuto nella reciprocità dell’amore posso raggiungere quel silenzio, quella cella interiore, in cui la Parola di Dio parla e si comunica e mi restituisce a me, strappato però al chiuso dell’individualità. Per opera dell’amore reciproco con ogni fratello e sorella, mi troverò io e non più io, in una nuova interiorità dilatata; interiorità che mi libera realmente dai limiti dell’io e fa presente esperienzialmente come mia vera realtà la Verità Assoluta. Non sono io che vivo, è Cristo che vive in me.